L'affaire Aminatou Haidar dans la presse internationale
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L'Affaire Aminatou Haidar dans la presse internationale
Jeune Afrique, 21/11/2009
Sahara: la militante Aminatou Haidar, poursuit sa grève de la faim
La militante pro-Polisario Aminatou Haidar est interviewée le 17 novembre 2009 à l'aéroport© AFP
La militante pro-Polisario Aminatou Haidar rejette l'offre du gouvernement espagnol de lui concéder le statut de réfugiée politique et poursuit sa grève de la faim de protestation contre son expulsion du Sahara occidental, a annoncé samedi à l'AFP l'un de ses porte-parole.
Aminatou Haidar, qui a reçu un prix en octobre à New York de la Train Foundation pour son engagement non violent en faveur des droits de l'homme, "rejette" l'offre espagnole de lui faciliter le statut de réfugiée politique, a déclaré José Morales Brum, leader syndical canarien et porte-parole de l'activiste.
Elle demande à pouvoir réembarquer vers Laâyoune, principale ville du Sahara occidental, et observe depuis lundi une grève de la faim à l'aéroport de Lanzarote, aux Canaries.
Ne disposant plus de passeport marocain, confisqué à Laâyoune, Mme Haidar est invitée par Madrid à s'en procurer un nouveau dans un consulat marocain. Mais la militante refuse également cette solution et réclame la restitution de son document.
Elle devait recevoir dimanche la visite de Cayo Lara, leader de la coalition écolo-communiste espagnole Izquierda Unida à l'aéroport de Lanzarote, qu'elle ne quitte plus depuis son expulsion de Laâyoune, le 14 novembre, selon M. Morales Brum.
Une manifestation de soutien a été organisée samedi à la mi-journée à Arrecife, ville principale de l'île de Lanzarote.
Le ministre espagnol des Affaire étrangères Miguel Angel Moratinos a déclaré que face aux refus de la militante, "on ne peut pas faire plus". Le ministre dit avoir déjà exprimé sa "préoccupation" sur l'affaire Haidar lors d'une rencontre jeudi avec son homologue marocain Taieb Fassi Fihri.
Le Maroc administre le Sahara occidental depuis 1975 et considère cette ancienne colonie espagnole comme partie intégrante du royaume.
Rabat propose une large autonomie sous sa souveraineté pour le Sahara occidental mais le Front Polisario, soutenu par Alger, refuse et réclame un référendum d'autodétermination, dans lequel l'indépendance serait une des options offertes.
El Pais, 25/11/2009
EDITORIAL - Cómo ayudar a Haidar
El Gobierno español debe exigir a Marruecos un cambio de actitud con la activista saharaui
La situación en que se encuentra la activista saharaui Aminatou Haidar en el aeropuerto de Lanzarote, al que llegó tras ser privada de su pasaporte marroquí e impedida de entrar en El Aaiún, su ciudad natal y en la que residen su madre y dos de sus hijos, es de la entera responsabilidad del Gobierno de Marruecos. Corresponde a este Gobierno resolverla y es difícil concebir otra forma de hacerlo que no sea devolviendo el pasaporte y no impidiendo la libre entrada a su territorio a alguien que, aunque defienda ideas que no gustan a las autoridades, lo hace pacíficamente y al amparo de los códigos de derechos humanos.
Al Gobierno español le corresponde no hacerse cómplice de un acto autoritario y arbitrario como el que ha cometido el Gobierno marroquí con Aminatou Haidar. Y no está claro que no lo haga si su actuación se limita a impedirle que intente de nuevo volver a El Aaiún, alegando que carece de pasaporte cuando esa carencia no impidió su entrada en territorio español, y a ofrecerle la posibilidad de acogerse al Estatuto del Refugiado, lo que, al margen de las buenas intenciones, haría el juego al Gobierno marroquí. La cuestión es que Haidar no desea permanecer en territorio español en contra de su voluntad, ni tampoco quiere acogerse al Estatuto del Refugiado. Y que esa situación la ha llevado a una huelga de hambre que, además de poner en riesgo su salud, agrava un problema que Marruecos ha sabido trasladar a España con una facilidad pasmosa.
La posición del Gobierno español es delicada y cada vez más incómoda. No bastan las buenas intenciones ni que el ministro Moratinos reconozca "la legítima posición" del pueblo saharaui y se defienda de ser "pro marroquí". Son los hechos los que cuentan, y en este caso lo que se echa en falta es una actuación de la diplomacia española -todo lo prudente que se quiera, pero firme-, para requerir a Marruecos que reconsidere su actitud y no supedite los derechos fundamentales de las personas a razones administrativas como las alegadas -escribir Sáhara Occidental en lugar de Marruecos en la ficha de entrada- para impedir la vuelta de Haidar a su ciudad. Si España, como la ONU, no reconoce que el Sáhara Occidental sea marroquí, no se comprende la facilidad con que ha aceptado esas razones administrativas alegadas por Marruecos al tiempo que rechaza las de la activista saharaui para intentar viajar de nuevo a El Aaiún.
Il Manifesto, 25 novembre 2009
di Stefano Liberti
AMINATOU HAIDAR, La sequestrata dell isola Lanzarote
L'attivista espulsa dal Marocco e bloccata in Spagna Deportata e trattenuta alle Canarie contro la sua volontà, la Gandhi del Sahara Occidentale è in sciopero della fame da dieci giorni. La sua espulsione si inserisce in un giro di vite di Rabat contro gli attivisti della regione. Altri sette sono in attesa di giudizio nel carcere di Salé. Il re Mohammed VI lo ha detto chiaramente: «Nessuna indulgenza per i traditori dell'integrità nazionale»
Era arrivata venerdì 13 novembre ad Al Aaiun, la capitale amministrativa del Sahara Occidentale, dopo un lungo giro per ritirare premi internazionali a lei assegnati. Sbarcata nella città dove vive, è stata trattenuta all'aeroporto, interrogata, privata del passaporto e poi reimbarcata su un aereo in direzione di Lanzarote, nelle isole Canarie spagnole. Aminatou Haidar, presidente del Collettivo dei difensori sahrawi dei diritti umani (Codesa) e nota come la Gandhi sahrawi, è stata espulsa dal Marocco.
La sua colpa aver dichiarato - come sempre fa quando rientra nella sua città - che il suo paese di residenza è il Sahara occidentale, e non il Marocco, che occupa il territorio dal 1975. A differenza dal passato, questa volta Haidar è stata allontanata e rimandata in Spagna, nonostante fosse priva di passaporto.
A Lanzarote, si è poi consumata la seconda parte della sua odissea, ancora in corso. Malgrado avesse fatto presente di non avere passaporto, Aminatou è stata imbarcata sul volo per le Canarie. Arrivata a Lanzarote, ha tentato di acquistare un biglietto per tornare ad Al Aaioun. Ma le è stato impedito, dal momento che - le ha spiegato la polizia - «non era in possesso di un documento di viaggio internazionale». Da allora Haidar, che accusa la Spagna di connivenza con il Marocco in quella che sembra una vera e propria trappola, è bloccata all'aeroporto di Lanzarote, dove porta avanti uno sciopero della fame, arrivato ieri al decimo giorno.
Aminatou non è nuova a proteste di questo tipo. L'ultimo sciopero della fame lo ha portato avanti «per 50 giorni» nel 2005, mentre scontava una condanna nella famigerata «prigione nera» di Al Aaiun. Questa signora di 42 anni, dal fisico esile ma dall'ostinazione d'acciaio, ha una lunga consuetudine con le carceri marocchine. Già ai tempi bui di Hassan II ha passato quattro anni detenuta senza vedere avvocati né essere sottoposta a processi.
Negli ultimi anni ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, fra cui il Premio per i diritti umani della Fondazione Robert Kennedy e quello al Coraggio civile della Fondazione Train, ritirato a New York pochi giorni prima di imbarcarsi nel viaggio che si sarebbe concluso con la sua espulsione.
La mossa del Marocco si inserisce in un giro di vite che sta colpendo negli ultimi mesi gli attivisti sahrawi che vivono nella parte occupata del Sahara occidentale. L'8 ottobre scorso, sette militanti - tra cui il vice-presidente della Codesa Ali Salem Tamek e Brahim Dahane, presidente dell'Associazione sahrawi delle vittime di violazioni dei diritti umani (Asvdh) - sono stati arrestati al loro ritorno da un viaggio negli accampamenti di Tindouf, in Algeria, dove vivono 200mila rifugiati sahrawi. Detenuti nel carcere di Salé, saranno processati a Rabat per attentato alla sicurezza dello stato. Dahane è tra l'altro al centro di uno scontro diplomatico con la Svezia: il 3 novembre scorso, il governo di Stoccolma gli ha assegnato un premio per i diritti umani. Il giorno successivo, Rabat ha preteso l'allontanamento del numero due dell'ambasciata svedese.
Pochi giorni dopo il re Mohammed VI ha pronunciato un discorso in cui fustigava i «traditori dell'integrità nazionale», suggellando la «nuova linea» nei confronti degli attivisti sahrawi. Ma la cosa che più colpisce è il ruolo della Spagna. Nella vicenda di Aminatou, il ministro degli esteri Miguel Angel Moratinos ha detto che è pronto a darle lo status di rifugiata e ad accoglierla, facendo di fatto il gioco del Marocco, che si libererebbe così di una spina nel fianco. Ma lei non vuole vivere in Spagna. Vuole tornare nel suo paese e continuare a lottare per la causa a cui ha dedicato la vita intera.
SAHARA OCCIDENTALE. Un conflitto dimenticato lungo 35 anni
Quella del Sahara occidentale è la storia di una decolonizzazione mancata e di un'occupazione che dura ormai da quasi 35 anni. Era il 1975 quando, mentre la Spagna usciva dagli anni bui della dittatura per la «morte naturale» del generalissimo Francisco Franco, il re marocchino Hassan II lanciava «la marcia verde», una grande manifestazione di popolo alla conquista delle province del Sud, fino ad allora amministrate da Madrid sotto il nome di Sahara spagnolo e abitate prevalentemente dalle popolazioni sahrawi. La marcia - preceduta da un'accurata campagna di bombardamenti e da operazioni militari - portò all'occupazione della regione e all'inizio di una guerra che, tra alterne vicende, è stata combattuta fino al 1991, data di un cessate-il-fuoco che ancora perdura.
Una guerra nel deserto che ha visto opporsi da un lato le forze di occupazione marocchine, dall'altro i combattenti sahrawi del Fronte Polisario, stabiliti in campi profughi nei pressi della città algerina di Tindouf dove vivono da ormai più di tre decenni 200mila persone in fuga dall'occupazione. Se i guerriglieri del Polisario hanno instaurato in esilio la Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd), riconosciuta dall'Unione africana, i marocchini hanno di fatto assunto il controllo della «parte buona» del Sahara occidentale (la zona costiera ricca di prodotti ittici ma anche, a quanto sembra, di idrocarburi). Un lungo muro di 2720 km - costruito con l'assistenza di tecnici israeliani - divide le due parti e mantiene uno status quo di né guerra né pace su cui vigila uno sparuto gruppo di caschi blu della Minurso, la missione Onu incaricata di preparare un referendum che probabilmente non avrà mai luogo.
Perché, in effetti, il cessate-il-fuoco firmato nel 1991 prevedeva che da lì a poco si sarebbe dovuta tenere una consultazione per decidere il futuro della ex colonia spagnola; se cioè dovesse essere annessa al Marocco, godere di larga autonomia all'interno del regno cherifiano o essere tout court indipendente. Il referendum si è arenato sulle manovre dilatorie di Rabat e sull'identificazione degli aventi diritto al voto, mentre le città delle province del Sud (come le chiamano in Marocco) si andavano popolando di coloni appositamente trasferiti e coccolati con facilitazioni fiscali e indennizzi. Oggi Al Aaioun, la capitale amministrativa della regione, è una tipica città marocchina, con un surplus abbastanza evidente di militari e poliziotti, che tengono sotto sorveglianza i militanti sahrawi più agguerriti, come Aminatou Haidar e gli altri sette che a tutt'oggi languono nel carcere di Salé in attesa dell'ennesimo processo per alto tradimento.
Lo stallo di questi diciotto anni ha congelato una situazione di cui il Marocco cerca di far valere la propria autorità e sfruttare i propri alleati tradizionali nelle sede internazionali (in primis la Francia), di fronte allo scarso peso negoziale del governo della Rasd, che di fatto amministra uno stato-fantasma dipendente in tutto e per tutto dagli aiuti internazionali e dal sostegno algerino. Se l'accordo per il referendum sembra ormai passato in cavalleria, Rabat sembra tornata ai modi bellicosi degli anni di Hassan II. Dopo primi segnali di distensione, il nuovo sovrano marocchino Mohammed VI, che ha da poco festeggiato i primi dieci anni di regno, ha assunto gli stessi toni minacciosi del padre. In un discorso alla nazione il 6 novembre scorso ha detto senza mezzi termini che bisogna essere intransigenti con «gli avversari dell'integrità territoriali».
I sahrawi da parte loro hanno perso uno dei loro più preziosi alleati, quella Spagna che un po' per senso di colpa anti-coloniale un po' per sentimento anti-marocchino ne appoggiava le istanze. Con l'arrivo al potere nel 2004 del socialista José Luis Rodriguez Zapatero, Madrid ha sacrificato la solidarietà sahrawi alla ragion di stato dei buoni rapporti di vicinato con il Marocco. Troppe le questioni sul tavolo per mantenere quelle relazioni burrascose che nel luglio 2002, durante il governo di José Maria Aznar, avevano quasi portato a una guerra aperta sul possesso del minuscolo scoglio di Leila-Perejil, un'isoletta senza qualità nello stretto di Gibilterra. Dall'immigrazione alla pesca, fino al terrorismo che ha colpito la Spagna nel 2004 proprio alla vigilia delle elezioni, Zapatero ha scelto di avere «un rapporto privilegiato» con Rabat. Il Marocco, dal canto suo, ha abbassato i toni delle rivendicazioni su Ceuta e Melilla, le due enclave che Madrid mantiene in territorio africano. Una delle poste dello scambio è stata senz'altro la questione sahrawi, come dimostra la vicenda di Haidar, espulsa dal proprio paese con il placet di Madrid e trattenuta contro la propria volontà a Lanzarote, normalmente assai poco incline ad accogliere i cittadini degli stati africani.
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Très intéressant
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